Introduzione
Al fabbricato collabente si applica l’imposta di registro come prima casa se l’acquirente, nell’atto di acquisto, dichiara di volerlo adibire ad abitazione principale e richiede l’applicazione dell’imposta agevolata.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 3913 del 16 febbraio 2025, sottolineando come la normativa relativa all’agevolazione prima casa non esige l’idoneità abitativa dell’immobile al momento dell’acquisto, quando il contribuente dichiara di volere adibire l’immobile a propria abitazione principale e quando sono presenti tutti gli altri requisiti richiesti dalla normativa per l’applicazione dell’agevolazione.
Cosa è il fabbricato collabente
L’unità collabente è il fabbricato o la porzione di fabbricato caratterizzata da un notevole livello di degrado classificata nella categoria catastale F/2 (unità collabenti), alla quale, in conseguenza della incapacità di produrre reddito, non viene attribuita una rendita catastale.
Si tratta di ruderi, fabbricati fatiscenti, crollati o che presentano cedimenti, immobili inagibili, non abitabili o non utilizzabili, che per essere abitabili necessitano di interventi radicali che vanno oltre la manutenzione ordinaria o straordinaria.
A tali unità, e la giurisprudenza di legittimità ritiene inapplicabile anche il regime di trattamento fiscale ai fini IMU a causa dell’assenza di una base imponibile.
Il caso
Con atto di compravendita veniva venduto un rudere di fabbricato espressamente qualificato come “inidoneo ad utilizzazione produttiva di reddito a causa dell’accentuato livello di degrado” e censito come unità collabente (F/2).
Nell’atto di acquisto, l’acquirente chiedeva di usufruire dell’agevolazione prima casa e versava l’imposta di registro nella misura ridotta pari al 2%.
Successivamente l’Agenzia delle Entrate, con avviso di accertamento, impugnato dall’alienante, liquidava la maggiore imposta nella misura del al 9%.
Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso del contribuente, ritenendo gli immobili collabenti idonei all’applicazione dell’agevolazione prima casa, e precisando che per i questi il termine triennale per i controlli da parte del competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, decorre dalla data di fine lavori.
I giudici dell’appello, accogliendo la decisione di primo grado ribadivano l’applicabilità dell’agevolazione prima casa agli immobili collabenti, non ritendendo necessario il requisito dell’attuale abitabilità.
Avverso la decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso deducendo:
– la violazione o falsa applicazione dell’art. 1 e Nota II bis Tariffa Parte Prima allegata al D.P.R. n. 131/1986 nonché dell’art. 14 disp prel. c.c. nella parte in cui il Collegio ha ritenuto applicabile l’agevolazione prima casa all’immobile collabente da destinare ad abitazione principale in quanto il rudere non può essere, anche in via potenziale, inquadrato come casa di abitazione;
– la violazione o falsa applicazione dell’art. 42 D.P.R. n, 131/1986 in relazione all’art. 360 c.p.c. per avere affermato che l’imposta liquidata è complementare e non principale.
La decisione
La Suprema Corte, rigettando il ricorso, evidenzia come anche per gli immobili in corso di costruzione (F/3) al momento del rogito notarile di compravendita, sia riconosciuta l’applicazione dell’agevolazione prima casa, da applicarsi in base a quanto dichiarato in atto dal contribuente, anche relativamente alla presenza degli altri requisiti.
L’Ordinanza, dunque, chiarisce che l’assenza di attualità della destinazione ad abitazione e l’inclusione dell’immobile nella categoria catastale F/2 non siano ostacoli all’applicazione dell’agevolazione prima casa.
A rafforzare questa impostazione vi è la mancata inclusione degli immobili F/2 tra quelli per i quali l’agevolazione prima casa non è ammessa (A/1; A/8; A/9).
Inoltre, la riflessione effettuata nella decisione evidenzia come l’immobile collabente possa essere destinato ad abitazione principale e completato nel termine triennale di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento da parte del competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate.
Pertanto la Corte afferma che l’interpretazione restrittiva della ricorrente non è ragionevole quando si tratta di immobili che al momento dell’acquisto sono incompleti o hanno un uso diverso da quello abitativo, ove l’acquirente intenda destinarli a propria abitazione principale. Ciò in quanto la norma parla di immobile “destinato” da intendersi come obiettiva funzionalizzazione del bene acquistato al soddisfacimento dell’intenzione dell’acquirente; questo anche in considerazione dell’esigenza perseguita dal legislatore di incoraggiare lo sviluppo dell’edilizia abitativa anche mediante interventi di restauro o risanamento conservativo.
Inoltre, nel caso di specie, il contribuente oltre ad avere dichiarato nell’atto di compravendita la volontà di destinare l’immobile acquistato a prima abitazione, aveva richiesto i permessi comunali per il recupero dell’edificio; elementi ritenuti sufficienti per fondare una effettiva coerenza tra la futura destinazione del bene e le dichiarazioni rese.
Pertanto la Suprema Corte ammette l’applicazione dell’agevolazione prima casa anche all’immobile collabente ribadendo ancora una volta la sufficienza e la necessità della dichiarazione dell’intenzione di adibire l’immobile a futura abitazione, oltre ovviamente, alla presenza di tutti i requisiti richiesti dalla normativa.
E dunque, posto che la normativa relativa all’agevolazione prima casa non esige la presenza dell’idoneità abitativa dell’immobile al momento dell’acquisto, il beneficio può essere riconosciuto anche all’immobile collabente in quanto non vi osta la classificazione del fabbricato in categoria catastale F/2, ma semmai rileva la suscettibilità dell’immobile acquistato a essere destinato all’uso abitativo, anche mediante i necessari interventi edilizi.
Approfondimenti
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