Avviare un’attività imprenditoriale in Italia da parte di un cittadino straniero è un processo accessibile, ma richiede una buona padronanza del quadro legale, fiscale e contributivo del nostro Paese.
Le opportunità sono molte e le modalità operative variano a seconda della nazionalità del soggetto che intende intraprendere questo percorso, la tipologia di attività che ha intenzione di avviare e altri fattori non meno importanti.
In questo primo articolo ci soffermeremo sulle caratteristiche principali che può assumere un’attività economica in Italia, per poi approfondire successivamente sistemi fiscali, contributivi e patrimoniali.
Differenze tra cittadini italiani, UE ed extra-UE
I cittadini italiani e quelli provenienti da Paesi dell’Unione Europea (UE) o dello Spazio Economico Europeo (SEE) sono equiparati dal punto di vista della libertà d’impresa.
I cittadini UE o SEE godono infatti del principio di libertà di stabilimento, sancito dagli articoli 49 e 54 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Questo significa che possono costituire un’impresa, avviare un’attività di lavoro autonomo o una società in Italia alle stesse condizioni dei cittadini italiani, senza necessità di permessi particolari.
Diversa è la situazione per i cittadini extra-UE, i quali devono prima ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo o imprenditoriale. Tale titolo è rilasciato in base al Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 286/1998) e al relativo regolamento di attuazione (D.P.R. 394/1999). In particolare per ottenerlo è necessario dimostrare: la disponibilità di risorse economiche adeguate per avviare l’attività la conformità dell’attività ai requisiti previsti dalla legge italiana (licenze, autorizzazioni, iscrizioni obbligatorie) la sussistenza di un alloggio idoneo e di una copertura sanitaria.
Una volta ottenuto il permesso, il cittadino extra-UE può procedere come qualsiasi altro imprenditore o lavoratore autonomo, italiano oppure comunitario.
Impresa o lavoro autonomo: due modelli differenti, ma sempre più simili.
La prima differenza sostanziale da considerare è quella tra impresa e lavoro autonomo, in quanto determina diversi trattamenti giuridici, fiscali e contributivi.
L’impresa, come definita dal Codice Civile (art. 2082), implica l’organizzazione di mezzi e persone per la produzione o lo scambio di beni e servizi. E’ quindi un’attività eterorganizzata dove l’attività intellettuale del titolare è secondaria rispetto agli altri fattori della produzione. Il lavoro autonomo (art. 2222 c.c.) invece è l’attività svolta prevalentemente in modo personale e senza vincolo di subordinazione, come nel caso appunto dei liberi professionisti. A seconda della attività esercitata e dell’esistenza di complessità di organizzazione di mezzi e persone si potrà far parte di una o dell’altra categoria.
L’impresa dovrà essere iscritta al Registro delle Imprese competente e trascinerà il titolare (oppure i soci in caso di società) nel sistema fiscale e contributivo opportuno. Il professionista invece potrà operare con partita IVA individuale, dovendosi iscrivere contestualmente a una Cassa di previdenza professionale specifica (ad esempio, Inarcassa per ingegneri e architetti, Cassa Forense per avvocati, ecc.) oppure, se non esiste una Cassa dedicata, alla Gestione Separata gestita da INPS. Potrà inoltre accedere, se ne avrà i requisiti, ad alcuni regimi fiscali di favore attualmente in vigore.
Nei prossimi contributi approfondiremo i sistemi previdenziali per stranieri e le configurazioni fiscali per i primi anni di attività su entrambi i modelli di attività economica, con esempi pratici e aggiornamenti normativi.

